venerdì 15 gennaio 2010

Baldassarri: «Se non taglia ora, Tremonti è fuori dal nostro partito»

Nessun commento all’annuncio di Berlusconi sulla riforma. E nessuno all’inaspettato dietro front sui tagli. È stato un silenzio “tecnico” quello osservato da Mario Baldassarri nei giorni del balletto fiscale. «Si è trattato», spiega l’economista vicino a Fini nonché presidente della commissione Finanze del Senato, «di un polverone inutile e pieno di equivoci».
Proviamo ad elencarli...
«Il primo è pensare che si possa fare la riforma a gettito invariato. Quando si parla di riforma del fisco si parla necessariamente di riduzione della pressione fiscale, perché veniamo dai due anni di governo Prodi in cui il peso delle tasse è aumentato a dismisura».
E i soldi dove si trovano?
«Ecco il secondo equivoco: pensare che chi vuole meno tasse vuole più deficit. Tagliare le imposte significa tagliare la spesa. Altrimenti ci prendiamo solo in giro».
Questo vuol dire toccare sanità, sicurezza, scuola...
«E arriviamo al terzo punto. La spesa si taglia intervenendo sugli sprechi e sulle malversazioni. Negli ultimi cinque anni lo Stato ha speso 50 miliardi in più per gli acquisti della Pa e per i finanziamenti a fondo perduto. Le famiglie hanno forse percepito miglioramenti nei servizi? Le imprese hanno ricevuto più sostegno per le loro attività? Credo proprio di no».
E allora perché non si fa?
«Perché per tagliare la spesa ci vuole prudenza e coraggio. E quest’ultimo spesso manca. Ma chi pensa che non si possa fare diventa alleato di quelle 200mila persone che sguazzano negli sprechi della spesa pubblica alla faccia di 57 milioni di italiani».
La sua contromanovra fu accusata di essere troppo mastodontica...
«L’ordine del giorno approvato dal Parlamento durante la Finanziaria impegna il governo su un progetto diviso in tre moduli. Il primo costa 7,5 miliardi. Tre servono a finanziare il taglio di 1.000 euro di Irpef per ogni membro del nucleo familiare. Quattro per dedurre il monte salari dall’Irap per le imprese fino a 50 dipendenti e 500 milioni per la cedolare secca sugli affitti. Quest’ultima misura dal secondo anno porterebbe un gettito aggiuntivo di circa 2 miliardi, come è successo per le detrazioni sulle ristrutturazioni».
E i tagli di spesa?
«Per l’Irpef si interviene sugli acquisti della Pa, per l’Irap si trasformano i fondi perduti in credito d’imposta e si spalmano su cinque anni, per la cedolare secca si fa uno sforzo per il primo anno poi si finanzia da sola».
Sulla cedolare, però, è partita la sperimentazione all’Aquila?
Far partire una detassazione degli affitti in una città dove non ci sono più le case mi sembra inspiegabile».
Per ora la linea del Pdl è questa. Dovrà accontentarsi o cambiare partito...
«Guardi, sono stato io nel ’94 ad inventare lo slogan “meno tasse per tutti”. Il taglio delle tasse è nel codice genetico del Pdl ed è il punto più forte che ci distingue dalla sinistra, che pensa ancora che con più imposte si possano avere più servizi. Quindi, è chi ritiene che le tasse e la spesa non si debbano tagliare che è fuori dal partito».
Finché Tremonti resta a Via XX Settembre, però, sembra questa la musica...
«Ripeto, se non vuole ridurre le tasse e tagliare la spesa è lui che si pone fuori dal Pdl».
Perché, secondo lei, il ministro è così irremovibile?
«Tremonti ha il terrore, giustamente, dei saldi da finanziare. Ma, come dicevo prima, per riformare il fisco ci vuole prudenza e coraggio».

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