lunedì 29 giugno 2009

Ogni azienda paga mille euro al mese per la burocrazia

Sedici miliardi e seicento milioni l’anno. Dodicimila euro per ogni impresa. Mille euro al mese. È questa la stratosferica cifra che ciascuna azienda italiana che abbia almeno un dipendente deve versare ogni trenta giorni allo Stato. Non si tratta di imposte, di multe o di mazzette. È l’obolo che chi vuole fare impresa deve pagare alla burocrazia. Roba da far accapponare la pelle. E su cui la sinistra farebbe bene a pungolare il governo (che peraltro con il ministro Brunetta sta già premendo sull’acceleratore) piuttosto che perdere tempo a criticare l’ennesima tornata di misure anti-crisi varata dall’esecutivo per dare un po’ di ossigeno alle imprese e alle famiglie. Mentre i soloni del Pd fanno le pulci alla manovra estiva, infatti, il sistema produttivo brucia 16,6 miliardi solo in certificati e carte bollate.
Qualche giorno fa la Corte dei Conti ci ha rivelato che la corruzione della Pa costa ai cittadini qualcosa come 60 miliardi l’anno. Ora scopriamo che oltre alla “tassa occulta” c’è quella palese, costi che l’azienda deve sobbarcarsi non per infrangere o aggirare la legge, ma per rispettarla. Oneri amministrativi che si vanno ad aggiungere a quelli normalmente previsti, spese extra che l’imprenditore è costretto a sostenere per colpa dell’architettura kafkiana della pubblica amministrazione.
A rivelare le cifre del grottesco fenomeno è uno studio di Unioncamere, che ha dovuto purtroppo constatare una crescita del peso della burocrazia sulle imprese negli anni che vanno dal 2006 al 2008. Nel dettaglio, si tratta di 12.334 euro in media per ognuna dei circa 1,3 milioni di aziende che hanno almeno un dipendente e sono quindi più soggette agli adempimenti di carattere amministrativo. Due anni prima la cifra era di 11.818 euro. Complessivamente si tratta di circa 1,7 miliardi in più che il sistema produttivo ha dovuto sborsare allo Stato, con un incremento medio del 4,4%. La crescita è inferiore a quella dell’inflazione nello stesso periodo. Ma il totale (16,6 miliardi pari all’1,1% del Pil) resta comunque elevatissimo e dimostra che malgrado gli sforzi di semplificare la macchina pubblica, la musica non cambia. Anzi, peggiora.
I ministri della Pa, Renato Brunetta, e della Semplificazione, Roberto Calderoli, hanno già avviato una decisa opera di modernizzazione e di snellimento degli apparti burocratici. Ora, accanto alle misure di sostegno varate dal governo, bisognerà affrettare il cambiamento, per evitare che l’effetto combinato della recessione e della burocrazia tagli definitivamente le gambe alle imprese proprio nel momento in cui ci sarà da combattere per risalire dal baratro della crisi. Tanto più che gli extra costi amministrativi vanno chiaramente a colpire di più quella piccola e media impresa da cui ci si aspetta il colpo di reni per tornare a correre.
Il tema sarà al centro dell’intervento del neopresidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, durante l’assemblea generale che si terrà mercoledì prossimo. Una via d’uscita, secondo Dardanello, può essere rappresentata dalla diffusione della telematica, «che oggi interessa il triplo delle imprese rispetto al 2006» e sta facendo registrare, per chi utilizza Internet per dialogare con la Pa, notevoli riduzioni dei costi. Ma sarà anche indispensabile procedere con decisione sulla strada della semplificazione rendendo pienamente operative riforme come quella della comunicazione unica o dell’impresa in un giorno.Il percorso è ancora lungo. L’indagine di Unioncamere ha rilevato che solo l’8,5% sistema produttivo ha registrato una diminuzione dei costi, mentre per il 63,6% sono rimasti sostanzialmente invariati. Il 27,8% ha invece riscontrato una crescita degli oneri amministrativi. A pagare di più in media sono le imprese dei servizi, circa 12.700 euro rispetto agli 11.700 del settore manifatturiero.

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